Un ponte immaginario collega la Sardegna al Brasile. E’ il progetto pilota “Sardegna-Bahia: un nuovo modello socio economico di concorrenza al mercato” presentato sabato 29 ottobre nell’ambito della manifestazione “Un abraço para o Brazil” voluta da A.Se.Con. che opera nel campo della cooperazione allo sviluppo. Amici Senza Confini è un’Organizzazione Non Governativa, per definizione indipendente dai governi e dalle loro politiche, nata nel 1999 con l’obiettivo di contribuire allo sviluppo globale, pianificando interventi mirati al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni che vivono in situazioni di povertà o emergenza. Ha ottenuto nel 2008 il riconoscimento ministeriale e vanta un’esperienza maturata nel corso di oltre dieci anni di attività che, come sottolineato dalla sua Presidente Roberta Manca, ha portato l’associazione ad intervenire nel lontano Brasile cercando di stabilire con la popolazione locale rapporti umani e socio economici stabili e positivi, nel rispetto sempre delle loro richieste e necessità.
Un po’ di quella cultura carioca è arrivata a casa nostra a farci sentire tutti cittadini del mondo. Tra un ballo di samba e un’esibizione di capoeira, la degustazione di prodotti tipici e una mostra fotografica e artistica non sono mancati i momenti di riflessione. Le testimonianze di chi, per motivi diversi, ha vissuto un’esperienza dall’altra parte del mondo in un Paese, il Brasile, a detta di tutti meraviglioso e c’è da crederci, e di chi da quel paese è arrivato nella nostra Isola hanno fatto da cornice al lancio di un nuovo progetto per l’attuazione di un patto strategico territoriale fra la Sardegna e lo Stato di Bahia. Perché la scelta è ricaduta proprio su Bahia? Lo spiega Roberto Copparoni, referente area progetti A.Se.Con.:”Abbiamo ritenuto di intervenire in quella specifica area del Brasile dove la convergenza di ben tre culture continentali, africana, sud americana ed europea, rende la prospettiva di azione assai interessante e per certi aspetti esclusiva”.Se guardiamo oltre i nostri confini forse ci accorgiamo che operare in uno Stato molto lontano da noi non è poi così diverso che farlo qui nella nostra terra. Forse i problemi che i pescatori, gli agricoltori e i coltivatori di Bahia si trovano a fronteggiare sono gli stessi di quelli sardi. Allora un progetto che sperimenti un nuovo modello di sviluppo, studiato e opportunamente calibrato, può essere adottato in ogni parte del mondo. Non si tratta di esportare capitali, macchinari, mezzi di sussistenza ma passione, energia, esperienza, formazione, insegnamento e soprattutto voglia di confrontarsi con l’altro, con chi è diverso da noi ma in fondo non così tanto. A sostenere questo innovativo progetto la dichiarazione del console italiano dello Stato di Bahia nel manifestare la totale disponibilità della rappresentanza consolare italiana. Il 2 dicembre prossimo si darà ufficialità al patto strategico territoriale con la presentazione davanti alle autorità del governo Baiano.
Il progetto “Sardegna-Bahia” per un nuovo modello di sviluppo socio economico è sostenuto anche dalla Facoltà di Scienze Politiche di Cagliari. La docente Annamaria Baldussi, che si occupa da circa vent’anni di cooperazione internazione, di tutela dei diritti umani, ci guida all’interno del Paese più popoloso del Sud America, al quarto posto per estensione geografica. “Il Brasile e la Russia, la Cina, l’India e, di recente acquisizione tra i grandi, il Sud Africa- afferma la Baldussi- sono Paesi da considerarsi quasi dei continenti, non solo per l’ampiezza territoriale ma soprattutto per quella culturale intesa a 360°”. Il Brasile, quasi sempre identificato nel nostro immaginario con la samba, il carnevale e la nazionale di calcio, è cresciuto così velocemente dal punto di vista economico e tecnologico da affermarsi sulla scena internazionale e imporsi sui mercati americani ed europei. ”Nonostante la grande crisi che anche il Brasile sta soffrendo-puntualizza la docente- ha registrato, a fine 2010, una percentuale in termini di PIL(Prodotto Interno Lordo) così elevata da piazzarlo ai primi posti nella gerarchia mondiale”. Allo stato attuale delle cose è l’unico Paese di tale ampiezza ad essere completamente autonomo sotto il profilo delle risorse energetiche. Allora ci potremo chiedere se ha un senso parlare di un progetto di cooperazione in quella terra. La risposta è si, ha un senso se consideriamo, prima di tutto, il profondo divario esistente fra il nord povero e il sud più ricco. Inoltre la politica economica attuata negli ultimi dieci anni dal governo di Lula(Presidente del Brasile fino al 1° gennaio 2011) ha interpretato pienamente il concetto di sviluppo sostenibile e tentato di metterlo in pratica. Come ci ricorda la professoressa Baldussi questo modello si spiega ancora oggi con la definizione coniata negli anni ’60: ci può essere progresso se viene rispettata le regola delle 3 E, ecologia, economia ed equità. “Mentre quella e di economia- precisa la docente- cresceva in maniera significativa, le altre, l’ ecologia e l’equità rimanevano un passo indietro soprattutto in quelle parti del paese più marginali e periferiche, il nord-est, le aree amazzoniche, le zone abitate dagli indios. Tutto questo fa in modo che si possa e si debba parlare di progetti di cooperazione internazionale”.
Come si fa concretamente un progetto? Non stupiamoci se ad entrare in gioco è l’Ing. Augusto Montisci della Facoltà di Ingegneria: anche un tecnico può progettare spinto dalla costante ricerca di nuove fonti di ispirazione. L’idea base è quella di copiare la natura e la strategia adottata utilizza- come spiega Montisci- il “paradigma dell’albero”. Le fasi del ciclo di vita di un albero, partendo dalla scelta del terreno, possono essere codificate e per analogia trasferite nell’attuazione del progetto di sviluppo di un nuovo modello socio economico come quello che si vuole portare nello Stato di Bahia in Brasile. Il percorso naturale mostra una serie di tappe che corrispondono agli step di avvio e consolidamento del progetto illustrati sapientemente dall’Ing Montisci. La stesura del progetto esecutivo, nel quale saranno delineate le modalità per le azioni future, è la prima fase, quella che in natura conduce alla scelta del tipo di albero. Si passa poi alla costituzione di un gruppo operativo iniziale che si inserisce nel contesto sociale in modo visibile(fase della semina). Il gruppo avvia semplici azioni di carattere sociale e culturale: costituzione di gruppi d’acquisto, censimento delle attività effettive e potenziali della comunità, istituzione di uno sportello di consulenza economico-finanziaria, assistenza alla formazione e all’istruzione, creazione di un centro culturale e ricreativo(fase della germinazione). Si procede con la creazione di un Consorzio Civico, di cui fanno parte anche i cittadini del luogo in cui si sta operando, che eredita il bagaglio di nozioni e attività svolte nella fase iniziale. All’interno del Consorzio si individuano due commissioni: la prima si occupa del reperimento delle risorse, fonti primarie(fase del radicamento); la seconda penserà all’erogazione di beni e servizi, fonti secondarie(fase della crescita e ramificazione). Una volta soddisfatto il fabbisogno interno il Consorzio può agire da impresa e aprirsi al Mercato fornendo beni e servizi(fase della foliazione). Potrà anche avviare attività non funzionali e fornire consulenze in merito al progetto in altre realtà(fase della fruttificazione). Con l’avvio del progetto in altre zone geografiche il cerchio si chiude(fase della disseminazione). Come si possono inserire in questo ciclo le persone che operano in Sardegna attraverso associazioni e istituzioni? “Attraverso la logica dell’innesto- prosegue Montisci- proprio come si fa con le piante da frutto. Qualunque cosa inseriamo deve però diventare parte del sistema stesso. Abbiamo tante possibilità: per fare qualche esempio possiamo pensare a corsi di formazione da svolgersi in loco, finanziamento di borse di studio, allestimento di un centro elaborazione dati per la gestione economica, creazione di un sito web che permetta di riferire all’esterno sull’evoluzione del progetto”.
I progetti funzionano solo se protagonisti sono gli individui, la società, le comunità. La cooperazione internazionale, per essere vincente, non deve esimersi dal concetto di scambio. Mettiamo a disposizione le nostre capacità, l’esperienza, le risorse economiche e tecnologiche ma in una logica di confronto. Con un po’ di buon senso possiamo mettere in pratica azioni concrete che, in un mondo proiettato verso la dipendenza dai mercati e la rincorsa al benessere a tutti i costi, si traducano in piccole rivoluzioni. “Non dimentichiamoci- ricorda la professoressa Baldussi- che far funzionare un progetto significa questo: oggi noi andiamo a Bahia, dall’altra parte del mondo, ma domani loro verranno qui e porteranno le loro esperienze, i loro saperi, la loro vitalità”.
Apriamo le braccia e incontriamoci, guardiamo oltre i nostri confini, spalanchiamo le menti e i cuori.
Barbara Piras