Tuvixeddu: ragione e passione si confrontano fra l’avere e l’essere
Le ultime novità su Tuvixeddu ci confermano quanto sull’argomento abbiamo sempre pensato, detto e scritto almeno in questi ultimi 25 anni.
Spesso siamo intervenuti suscitando, nostro malgrado, tutta una serie di malintesi ed incomprensioni da parte di coloro che sono o cercano di apparire “buoni e giusti”.
Siamo persino passati per “collaborazionisti”, per coloro che erano favorevoli agli ecomostri e grandi amici dei costruttori e pur di non rinnegare quello che realmente pensiamo, in questi anni, abbiamo pagato un caro prezzo per continuare a dire la nostra e mantenere una linea di coerenza e onestà intellettuale.
Per anni ci siamo impieganti per la tutela e fruizione dell’intera area vasta e i residenti e i cittadini di Cagliari lo sanno, per primi ci siamo battuti per far dichiarare Tuvixeddu monumento UNESCO; per primi abbiamo presentato un progetto socio-economico e culturale di valorizzazione integrata dell’intera area con il progetto VARIT (Valorizzazione Risorse Territoriali), per far diventare i residenti del quartiere di Sant’Avendrace veri protagonisti del riscatto dell’area archeologica. In questi ultimi 10 anni, dopo aver raccolto dalle persone i loro desiderata, abbiamo presentato questo progetto in varie sedi, consegnandone copia al Comune di Cagliari, alla Circoscrizione n. 2, alla Soprintendenza archeologica, al MIUR, alla Provincia di Cagliari e alla Regione della Sardegna. Abbiamo riempito le caselle di posta di tante redazioni giornalistiche, locali e nazionali.
Senza pregiudizi ideologici abbiamo collaborato con tutti, dalla Circoscrizione alla Parrocchia, dalle scuole ai residenti, dai commercianti agli imprenditori, dai partiti ai sindacati, coinvolgendo anche il mondo del volontariato, la Soprintendenza archeologica e la società civile con decine e decine di iniziative.
Lo stesso mercatino di Piazzale Trento è nato da una nostra idea condivisa da pochi amici fra cui il Sig. Rachel, che tutt’ora gestisce l’iniziativa, e per mesi siamo rimasti anche da soli in piazza con le nostre bandiere per sensibilizzare, raccogliere firme e organizzare visite guidate a Tuvixeddu assieme a Angelo Pili, Marcello Polastri, Rita Meloni, Gabriella Concu, Antonello Floris, il compianto Giuliano Carta, Marco Porcu, Gian Giacomo Nieddu, Gino Melchiorre, Antonello Lai, Paolo Usai, Ignazio Piras e a tanti residenti, giovani, casalinghe e anziani del quartiere.
Pertanto, visto che dagli anni ’80 ci occupiamo a vario titolo di Tuvixeddu, al fine di fornire altri elementi di corretta valutazione sul nostro pensiero, offriamo un’ulteriore chiave di lettura.
– Premesso che si sarebbe preferito che sul colle non si fosse mai edificato; da via dei Punici a via Vittorio Veneto, da via Falzarego a Via Castelli, da via Santa Gilla a Via San Simone per finire a Sa Illetta.
– Rilevata l’incuria con cui questo colle è stato trattato fin dalla fine della II guerra mondiale, diventato negli anni ’80 un vero e proprio immondezzaio urbano.
– Tenuto conto dei fondamentali principi giuridici quali “pacta sunt servanda”, “Rebus sic stantibus” e “irretroattività della legge”(*).
– Constatata l’urgenza e la necessità di aprire il parco archeologico di Tuvixeddu per dare una nuova opportunità al quartiere di Sant’Avendrace e alla città di Cagliari soffocata da “antiche logiche”.
– Preso atto dell’accordo di programma fra le parti in causa e sugli innegabili benefici e vantaggi che il Comune di Cagliari ha ottenuto dalla transazione effettuata, ma soprattutto di quelli che l’intera cittadinanza avrebbe ottenuto attraverso la realizzazione di un importante parco archeologico, finalmente affrancato dalle “liti di bottega”.
Fatte tutte queste considerazioni ci domandiamo perché la RAS non ha mai formulato a Cualbu una credibile proposta di acquisto dell’intera area. Del resto anche la Provincia di Cagliari ha formulato una proposta di questo genere che, se non ricordiamo male, venne formulata fin dal 2005.
Inoltre perché non è mai stato sentito il reale volere dei cittadini anche attraverso una consultazione referendaria, come dai noi proposto, lasciando volutamente alle buone o cattive formazioni sociali la rappresentanza e la legittimazione a trattare il tema?
Sono decenni che la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica pretende una credibile e definitiva soluzione dell’annoso problema.
Alcuni diranno…”perché acquistare, se si può espropriare a prezzo politico?”
Ma questa forma di cessione coattiva del bene privato senza giusto ristoro non è contemplata nel nostro ordinamento.
Forse un tempo nei paesi dell’EST questo era anche possibile, ma non in Italia dove il bene pubblico e la proprietà privata coesistono e convivono, anche se periodicamente i principi e valori da essi espressi vengono ponderati in maniera differente a seconda delle maggioranze che occupano Palazzo Chigi.
Infatti più volte la giurisprudenza si è pronunciata in argomento sancendo “la credibilità economica” della proposta di indennizzo che deve essere rapportata al valore del bene. Sono finiti i tempi in cui i rossi erano bravi o i neri cattivi o viceversa, o quando i cattolici erano solo DC.
Oggi la gente vuole soluzioni funzionali, condivise e credibili. In altre parole vuole delle risposte coerenti e certe dalle Istituzioni e dalla politica.
Ma ritornando all’esproprio, che è bene ricordare si colloca in ambito civilistico e non penale, occorre fare una precisazione, nel senso che è necessario valutare gli interessi e decidere se devono prevalere le nuove disposizione di legge, perché la società che le esprime ha mutato stili e modelli di vita o se deve vigere il principio che “in fase di gioco non si cambiano le regole”, sempre che non si dimostri che le regole sancite a suo tempo fossero illegali. Ma non mi risulta che quanto fatto allora dalle parti in causa sia stato oggetto di sentenza penale passata in giudicato nel senso che nessuno ha mai dichiarato che l’accordo di allora fosse il frutto di una serie di reati fra loro posti in essere e preordinati ad ottenere un ingiusto profitto.
Ma al di la di questo resta un fatto. Cambiano le leggi, cambiano gli orientamenti e i valori, così come le sensibilità che, fra l’altro, non dovrebbero generarsi a colpi di decreto o di leggi, perché esse stesse dovrebbero generare l’innovazione normativa. Ma queste sensibilità se davvero fossero state presenti prima dell’accordo di programma, perché non si sono manifestate allora con la stessa veemenza, varietà di argomentazioni e contenuti con le quali si manifestano oggi?
In tutti questi anni dove erano l’On.Granata, i presidenti delle blasonate associazioni ambientaliste, i luminari delle scienze archeologiche, gli uomini di cultura, spesso impegnati e presenti nelle manifestazioni di parte, dove sempre gli stessi “se la cantano e se la suonano”?
Inoltre proprio coloro che oggi gridano allo scempio, pochi anni fa validavano le “estemporanee e futuristiche creazioni” dell’architetto Gilles Clement, dove Tuvixeddu sarebbe dovuta diventare una specie di nuova Dysneland, chiamata a colpi di legge dal nuovo Dux della sinistra “Parco Caralis”.
Oggi molti ambientalisti et similia parlano di coni visivi deturpati, contesti identitari compromessi, saccheggio del paesaggio, salvaguardia delle cultura mineraria con devastazione di un bellissimo canyon (che fra l’altro di antico non ha nulla visto come, da chi e quando è stato fatto!), urlano alla cementificazione di siti archeologici… Ma perché ci si preoccupa del paesaggio solo adesso e non lo si è fatto prima… e poi, perché solo per Tuvumannu e non per Santa Gilla, per esempio. Inoltre si ritiene che il problema del cono visivo di Tuvumannu da via Liguria (ad arte ingigantito!) rispetto al cono visivo su Santa Gilla da Sa Illetta o da via Sant’Avendrace o da via Bainsizza (ad arte sottovalutato!) sia ben altra cosa.
Dunque, due pesi e due misure!
Pertanto siamo di fronte al bivio fra ragione e passione. Fors’anche fra avere o essere.
Certo le cose in questi anni sono cambiate; anche le sensibilità diffuse e soprattutto sono mutate le conoscenze anche grazie alle sane contaminazioni ecologiche che un “certo modo” di fare politica ha determinato.
Altro aspetto di perplessità è l’atteggiamento negativo che si cerca di consolidare verso la Soprintendenza archeologica di Cagliari che da anni ha sempre avuto un ruolo di grande importanza e responsabilità sulla vicenda. In questi ultimi 30 anni abbiamo conosciuto tanti archeologi che hanno avuto a che fare con Tuvixeddu, Dott. Pesce, Dott. Barreca, Dott. Santoni, Dott. Trochetti, la Dott.ssa Salvi e altri ancora e per quanto si possa dire abbiamo sempre apprezzato la loro grande passione e professionalità. In particolare nei giorni scorsi la Dottoressa Salvi è apparsa sulla stampa per via di alcune intercettazioni telefoniche ordinate dalla magistratura inquirente – dalle quali vengono “ad arte” estrapolate parti di un suo dialogo avuto con una collaboratrice – che tenderebbero a dimostrare una certa imperizia, negligenza, fors’anche mala fede e reticenza della stessa professionista nell’affrontare il ritrovamento delle tombe rinvenute nell’area del catino; area posta al di fuori dalla zona di vincolo archeologico e persino “accusata” di essersi in un certo modo attivata solo dopo le sollecitazioni avute dall’alto. Tutto questo non è giusto soprattutto per la Dottoressa Salvi con la quale in questi anni abbiamo collaborato fattivamente e apprezzato le sue doti umane, il suo entusiasmo, la sua disponibilità e in modo particolare la sua grande professionalità.
Ma cosa c’è dietro questo inusitato attacco da parte del principale quotidiano della Sardegna che, pur di convincere e fare tendenza è capace di calpestare tutto e tutti?
E’ proprio vero in certi casi gli opposti si incontrano…
Per noi questa è una realistica chiave di lettura dell’intera vicenda, perché da un lato vi sono delle persone, di cui la maggioranza in buona fede, come gli integralisti dell’ambiente, i radicali della sinistra e una parte dei costruttori che vorrebbero far saltare tutto l’accordo; dall’altra altre persone, altre associazioni, altri costruttori, ambientalisti che vedono e percepiscono l’ambiente in modo differente. Da quanto detto si ritiene che per definire la vicenda “allo stato delle cose” si possano prospettare due soluzioni, qualora ne sussistano i presupposti:
A) Fare una regolare procedura di esproprio o di solida transazione per le aree in contestazione al fine di far diventare tutta l’area “suolo pubblico”, sostenendo dei sensibili costi per indennizzare o risarcire i privati e azzerando di fatto anche l’accordo di programma del 2000.
B) Chiudere la partita accordandosi con una sensibile riduzione delle volumetrie nell’aria in discussione fra l’ex polveriera e il catino, terminare i lavori del Parco archeologico, trovare una soluzione non invasiva ed impattante per i raccordi stradali ed accordarsi sull’entità delle somme da corrispondere alla società di Cualbu a titolo di indennizzo o risarcimento bonario, facendo convivere le esigenze pubbliche con i diritti acquisiti dei privati.
Fra l’altro ci sono tante cose che si sono affermate sulle quali mai nessuno degli odierni giustizialisti ci ha dato risposta e in particolare:
Perché il vincolo del 2006, Piano Paesaggistico Regionale, che ha ampliato l’area sottoposta a vincolo, si è fermato nel lato sud occidentale, in via Santa Gilla e non è stato esteso a San Paolo/Campo Scipione, dove insistono (insistevano sarebbe meglio!) delle importanti presenza storico archeologiche di età fenicio punica (Thopet di Cagliari, scavato dal Prof. Giovanni Lilliu), romana e giudicale (leggasi Santa Igia), consentendo ad altri costruttori, proprietari di importanti mezzi di informazione di perfezionare (anche grazie al silenzio e alle assenze della sinistra) una mastodontica opera edilizia (non popolare), semplicemente devastante in termini di impatto ambientale ed estetico e fors’anche inutile da un punto di vista urbanistico?
Ma cosa fa la gente quando passa da via San Paolo o percorre la ss 195 per giungere a Cagliari, o quando dal viale Sant’Avendrace e dalla tomba della Vipera cerca di osservare la laguna, si chiude gli occhi?
Perché tutto il quartiere di Sant’Avendrace non è mai stato considerato vero e proprio centro storico, visto che le nostre origini sono proprio nell’area della laguna di Santa Gilla? Perché la popolazione è stata privata di una sua soggettività decisionale?
Perché non si vuole considerare tutta l’area un “Unicum storico, archeologico, naturalistico e paesaggistico” al cui interno si presentino senza soluzioni di continuità Tuvumannu e Tuvixeddu, Viale Sant’Avendrace, San Paolo/Campo Scipione e la laguna di Santa Gilla con San Simone e le sue isolette? Cosa aspetta la regione a bonificare e dare una fruizione almeno al tratto della Necropoli punico romana dell’ex cantiere edile Cocco? Dobbiamo aspettare un altro Bonificatore?
Perché non si vuole comprendere che una parte rilevante della partita “Tuvixeddu” viene trattata sui tavoli dell’alta finanza e da parte di “gruppi esclusivi, sulla pelle dei cittadini e di coloro che verranno?
Ma questo è un altro discorso che ci porterebbe lontano, forse talmente tanto da impedire a noi “umani e semplici mortali” di essere compreso nella sua complessità e interezza e che probabilmente ci riporterebbe, fino ai… “Cavalieri del Tempio” e alla città delle 3M.
Per Tuvixeddu Wive
Roberto Copparoni – Amici di Sardegna
(*) In sede penale l’irretroattività della legge incontra delle limitazioni qualora la nuova normativa preveda pene meno severe per tutti coloro che al momento dell’entrata in vigore della nuova normativa siano già sottoposti a provvedimenti restrittivi in virtù della vecchia legge.
N.B. Su Tuvixeddu si potrebbero dire anche altre cose per esempio parlare del saccheggio del colle dei Punici tra via Bainsizza, via Veneto e viale Merello, degli ecomostri di Viale Sant’Avendrace, nati da un accordo posto in essere fra il Comune di Cagliari e un’impresa costruttrice, basato sulla cessione di quel pezzo di necropoli meridionale, dove fra l’altro vi è la bellissima tomba di Rubellio, e sulla quale insisteva una prestigiosa villa, che è stata in parte demolita alla fine degli anni ’90, proprio dagli addetti ai lavori e quasi in segno di ritorsione, e nelle cui cavità vivono ancora oggi i senza tetto nell’indifferenza di tutti. Chi si sarebbe dovuto occupare del recupero di questa struttura e della bonifica dell’area? Come mai il famoso “cono visivo” non ha funzionato da queste parti?