Titti Pinna libero: ora liberiamo la Sardegna dai sequestri

Nel manifestare la nostra grande gioia per la liberazione dell’imprenditore Titti Pinna di Bonorva, che è rimasto prigioniero per otto mesi e dieci giorni nelle mani dei banditi,cogliamo l’occasione per affermare in modo deciso che la nostra terra non merita l’infamia, il discredito che, da sempre, i sequestri di persona, specie se realizzati nella nostra isola, generano nella opinione pubblica mondiale.
Una civiltà antica e fiera come dovrebbe essere la nostra, come può tollerare che al suo interno operino personaggi che si avvalgono di connivenze e anche di complicità etico sociali, che non devono avere diritto di cittadinanza nella nostra isola; uomini e donne che, senza scrupoli, privano l’uomo dei suoi fondamentali diritti, strappandolo agli affetti più cari, per ridurlo in schiavitù allo scopo di trarne un ingiusto profitto.
Tante volte ci illudiamo di essere all’avanguardia per tante cose…di essere la seconda regione d’Italia in fatto di reti e di internet, in relazione agli abitanti; spesso pensiamo di essere persino paladini della cultura mediterranea.
Ma cosa realmente siamo e cosa proviamo di fronte a questi efferati delitti?
Forse un diffuso, profondo senso di desolazione e di vergogna!
In queste circostanze evidenziamo solo la nostra grande debolezza e fragilità che non riesce neppure a capire da dove abbiano origine queste scellerate azioni.
Forse dall’ignoranza e dalla sopraffazione di una consuetudine che ha forza di legge.

Ora siamo usciti da un incubo che durava da oltre dieci mesi che riverberava su tutti noi sardi un generale senso di vergogna e di impotenza.

Dimostriamo con i fatti che non siamo più disposti a tollerare altri episodi di questo genere.
Trasferiamo nei giovani valori positivi per generare quelle sensibilità e quel senso civico che negli anni il contingente ci ha fatto dimenticare per farci, spesso, contrapporre nella lotta per la vita, per sopravvivere.

In altre parole liberiamoci per sempre dai sequesti, vera piaga della Sardegna e di una società che vuole chiamarsi civile.

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